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Valerio..sei un grande
Un corso ricchissimo di contenuti
Un corso che mi permette di arricchire il mio bagaglio in linea con le attuali evidenze scientifiche
Grazie di esistere fisioscience
Grazie davvero Giuseppe per il feedback!
Sono davvero felice sia stato utile e spero lo sia anche per gli altri colleghi!
Più utile questo caso clinico rispetto a 3 anni di università!
Grazie FisioScience!! Continuate così!!
Grazie di cuore per Dario per il feedback prezioso! Sono davvero contento sia stato utile!
Complimenti, corso davvero interessante!
Grazie per tutte le informazioni precise e dettagliate ed i tips che ci hai spiegato, ho trovato il corso molto utile. Ho apprezzato davvero molto le citazioni scientifiche, sarebbe bello avere a diposizione tutti questi paper che pian piano ci nominate :D..
Vorrei far delle domande riguardo alcuni contenuti che forse mi son sfuggiti, riguardo principalmente i parametri dell’allenamento e sulla programmazione dell’esercizio terapeutico:
– Riposo intra e inter serie, ci sono evidenze sul quanto/come/perchè ecc? Mi riferisco ad ognuna delle diverse fasi del trattamento. Chiedo nonostante sia facilmente intuibile, giusto per esser più informati.
– TUT e Velocità di esecuzione per ottimizzare il raggiungimento nelle varie categorie preposte (mobilità, controllo motorio, work capacity, forza e gesto specifico). Anche qua con la stessa premessa del punto precedente.
– Come sono state programmate le sedute? 1 a settimana?
– Gli esercizi che hai proposto sono tutti stati dati da fare al pz a domicilio oppure c’è una differenza in termini di numero/qualità degli esercizi in studio/a casa? 5-6 esercizi + warm-up per un totale di circa 45-50′ al gg non rischiano di condizionare l’aderenza del pz al trattamento?
– come potrebbe continuare, in termini di progressione di carico per lavorare sulla forza, un ipotetico trattamento? Nel senso, da dove parto, quanto, come ecc.
Spero di non esser stato eccessivo, le domande vengono da un grande interesse suscitato dal tuo corso, ancora complimenti.
Ciao Matteo!
Grazie di cuore per il feedback e per le domande davvero pertinenti (ma per le quali dobbiamo secondo me fare un corso a parte! :D)
Penso di riuscire a risponderti, ma se entriamo nei dettagli ci scriveremmo un Libro perché hai praticamente chiesto come impostare la riabilitazione di un low back pain… ed è giustissimo! 🙂
Rispetto ai parametri dell’esercizio che dicevi nel primo punto, la mia contro-domanda è: qual è l’obiettivo? Perché a prescindere dall’obiettivo che abbiamo in mente, abbiamo a che fare con pazienti con dolore. Nel caso in cui per perseguire l’obiettivo x siano “raccomandate” poche serie, poche ripetizioni e alto carico con riposo inter-serie pari a x minuti (per dire), abbiamo a che fare con pazienti con dolore. Quindi tutto il ragionamento decade anche con un solo “così non riesco a farlo, ho male” (eppur la dose era “perfetta”). Non ci sono raccomandazioni per il riposo inter-serie purtroppo né tantomeno un numero di serie raccomandate a scopo terapeutico (non quindi la forza per capirci, ma dolore e disabilità). Ricordo uno studio a questo proposito che non ha trovato differenze nei pazienti con CLBP con o senza dolore all’arto inferiore nel quale hanno visto che eseguire una sola e singola serie di esercizi che definivano resistance training (panca, stacchi, squat e poco altro) era esattamente uguale all’esecuzione di un numero maggiore di serie (due o tre). Dov’è l’inghippo? Basta che facciano qualcosa? No, perché poi al follow-up stavano un po’ meglio di prima ma poi mica tanto! L’inghippo sta nel fatto che l’esercizio ha un effetto puramente sistemico (inizialmente l’effetto è quasi solo sistemico e neurologico – non ci sono altre variabili fisiche che si modificano in così poco… mentre funzionali si eccome). Quindi sul riposo e sulle serie non posso risponderti scientificamente ma posso certamente dirti
Il fatto che io abbia definito la forza come un outcome surrogato, invece, risiede nel fatto che semplicemente lo è (i pazienti possono stare peggio con più forza e viceversa – oppure stare meglio indipendentemente dalla forza). Un tempo ho sentito dire che il dolore si associa sempre a un deficit di forza… ma questo non lo ha mai detto nessuno :)!
Lavorare sulla forza muscolare, poi, secondariamente per scopi di tipo funzionale o sociale sicuramente ha senso (e anche per lavorare sul dolore dici tu… certo… ma l’azione del training di forza sul dolore è indipendente dalle variazioni specifiche di forza muscolare – spero di essermi spiegato).
Time under tension e velocità di esecuzione: bellissima domanda – super coerente con il paziente in questione. Velocità di esecuzione assolutamente da ricercare in un paziente di questo tipo. Anzi, ti dirò di più: essendo comunque un elemento “aggiuntivo” e sfidante per il paziente (come lo sarebbero anche l’aggiunta di più carico, di più serie, di più ripetizioni o di altro che renda più difficole l’esercizio) ed essendo al tempo stesso un’esigenza dello sport (attacco del beach e caricamento in estensione) deve essere perseguita da subito non appena è possibile.
Per il TUT non ci ho nemmeno pensato nelle prime fasi in cui ho lavorato con il paziente, penso proprio che sia un aspetto da considerare prioritario in una seconda fase nel momento in cui la tolleranza al carico gli consenta di sopportare un lavoro significativo sul campo. Al momento non ha bisogno di forza muscolare significativa degli erettori spinali, dei glutei e degli estensori del corpo, chiamiamoli clinicamente così. Sicuramente è un’ottima idea la tua per lavorare sulla muscolatura anteriore del corpo (addominali in primis) in ragione della produzione di forza in flessione e del freno in estensione che deve avere. Ma riserverei tutto questo a una seconda fase, lui si è rivolto a me per dolore lombare persistente e il primo step è ridargli strategie di autogestione e iniziare a far sì che il carico sia più tollerato. Successivamente, 100% d’accordo con te e daremo più spazio anche a questo!
Sedute sì, una a settimana!
L’aderenza al trattamento non dipende solo dal numero di esercizi (è vero, meglio 2-3 massimo 4) ma dal tuo carisma, dalla sua santa pazienza e voglia, da quanto l’hai ingaggiato e soprattutto da quanto si fida. Ai miei pazienti lascio anche un numero maggiore di esercizi, tutto sta veramente nel quanto si fidano i pazienti di te. Su questi aspetti a oggi faccio fatica ad aiutare i colleghi perché se mi chiedessero quali sono le strategie più efficaci per far sì che facciano esercizio? Purtroppo la mia risposta sarebbe: “ci parlo e glielo spiego!” (ovviamente stringendo all’osso e senza minimizzare nulla, ci mancherebbe). Il primo step è acquisire fiducia. Possiamo essere i più bravi mental coach, i più bravi chiacchieroni, i più bravi pain neuroscience educators, i più bravi motivational interviewer… ma se il paziente non si fida non siamo niente di più di uno che chiacchiera e basta. Consiglio per partire e guadagnarsi la fiducia dei pazienti da subito (in modo trasversale): 1) 3 esercizi (almeno 1 o 2 analitici e uno funzionale), 2) esercizi che non richiedano troppi cambi di luoghi, strumentazioni particolari o altro ancora, 3) che “piaccia” al paziente (il paziente che dice “oooh questo si” oppure “ahhh questo mi fa lavorare di brutto – come il paziente mi ha detto più volte negli esercizi per gli estensori del rachide – vale molto di più di qualunque raccomandazione scientifica. Ovviamente, per quest’ultima frase, sto solo parlando del momento in cui rendiamo significativo l’esercizio per il paziente (“patient values and preferences” dell’EBP).
Per progredire sulla forza attraverso il carico, sembra che dal journal of strength and conditioning non ci siano troppe alternative: ti lascio un paio di link https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28834797/
https://www.mdpi.com/2075-4663/9/2/32
https://journal.iusca.org/index.php/Journal/article/view/81/141
Per quanto affascinanti, io poi chiedo: e se dice ahia? E se il dolore che è movimento dipendente in caso di dolore nocicettivo (come in questo caso) peggiorasse? La risposta è clinica: aumentiamo la forza (o altro, è per fare un esempio), insistendo per esempio su esercizi che possano stimolare in modo significativo il rachide lombare senza stressarlo con carico in determinati movimenti (esempi: hyperextension, deadlift facilitati con rialzo). Il paziente non ha dolore carico-dipendente (se gli mettiamo 200 kg sul corpo e gli facciamo fare un quarto di squat non ha dolore), ma carico-cumulativo-dipendente (quando stacca non ha problemi per esempio) e movimento-dipendente (estesione). Quindi, per chiudere, possiamo rifarci ai parametri che lo strength and conditioning ci propone in tutti quegli esercizi che non stressano in modo significativo il rachide lombare (via via poi che il paziente migliora lo faremo) e andremo avanti in tutti i movimenti provocativi (giocando con incrementi di carico e velocità) con parametri come dolore, rigidità, RPE e lo distruggiamo letteralmente 😀
Spero davvero di essermi spiegato e di aver risposto almeno a qualcosa 😊
Valerio
Grazie Valerio!
è sempre bello seguire i tuoi ragionamenti e le tue spiegazioni che rendono tutti più semplice!
e grazie anche per tutto quello che fai al di fuori di questo webinar!
Ciao Caterina!
Grazie davvero per il feedback, mi aiuta moltissimo e spero che anche i prossimi siano, diciamo così, “all’altezza” 🙂
Valerio
Ciao Valerio, prima di tutto complimenti! Bel corso!
Ti volevo chiedere se seguivi una scaletta di domande ben precise durante il colloquio…
Nel senso hai uno schema scritto a cui fai riferimento o vai a braccio (per esperienza)?
Ciao Andrea!
Grazie di cuore per i complimenti, mi fa davvero molto piacere sia stato utile!
Grazie anche per la domanda, davvero pertinente e penso possa essere d’aiuto anche ad altri colleghi. Se dovessi risponderti senza pensarci un momento, ti direi senza dubbio a braccio grazie all’esperienza. Purtroppo, con il passare del tempo, la didattica dell’anamnesi a mio avviso viene meno fisiologicamente a favore di un’ottimizzazione del colloquio. Non intendo per motivi di tempo (anzi, il tempo potrebbe non essere “così tanto di meno” rispetto a quando ero alle prime armi!), ma intendo proprio nella logica dell’anamnesi che a oggi è sicuramente meno schematica. Con i pazienti più complessi sono certo una scaletta didattica sia particolarmente d’aiuto, anche perché pazienti complessi, spesso e volentieri, sono sinonimo di pazienti con problematiche persistenti. Una scaletta un po’ più didattica sicuramente, passami il termine, ci fa perdere meno elementi e, qualora sia davvero difficile il colloquio per via della clinica del paziente che non consente di ottenere le informazioni che vogliamo in poco tempo, potrebbe aiutarci anche a ricordare le domande più “calde” (insorgenza specifica, red flags o altro ancora). Per il corso in questione avevo sotto mano la scaletta che avevo nel mio cassetto della scrivania ormai da tantissimo tempo, ma l’ho utilizzata in realtà ben poco e diciamo così mi sono fatto prendere dal momento e ho cercato di essere più discorsivo possibile – pur mantenendo un po’ di didattica che in un corso non può assolutamente mancare. All’inizio una scaletta anamnestica è doverosa a mio avviso (il rischio di perdere informazioni salienti è altissimo!), ma con il passare del tempo sicuramente un po’ di shift verso l’esperienza è davvero normale. Oggi sono un “mix”: la scaletta la utilizzo (ma sempre mentalmente e non cartacea) quando voglio essere davvero incisivo per domande la cui risposta deve essere o secca (sì/no) o specifica (sono caduto, ho fatto così, i FANS sono/non sono efficaci, la notte mi sveglio dal dolore o il dolore è assente a riposo e così via).
Spero di essere stato chiaro, d’aiuto e che possa essere utile!
Buon lavoro e a presto,
Valerio
Grazie mille Valerio, sei stato, come sempre, chiaro ed esaustivo dalla raccolta dell ‘anamnesi, alla valutazione e a tutto il ragionamento clinico che ti hanno permesso di creare gli esercizi terapeutici ideali per quel paziente.
Complimenti anche per il tuo libro che sto leggendo avidamente!
Grazie a te Michela! Mi fa davvero molto piacere e grazie davvero per il feedback sul libro!
Buon lavoro e a prestissimo,
Valerio